Crpta Abbazia di Santa Maria di Cavour_L.Stoisa

logo Rassegna TUTTOMELE 2009 città di Cavour     Pro Cavour
Luigi Stoisa testo di Mauro Comba, 2009
Senza titolo con natura morta
di decomposte mele, in elevazioni, e vive

La nave centrale della cripta-crisalide dell’abbazia di Santa Maria si è dischiusa germogliando, sotto terra, dalla terra muschiosa, da cui s’emanano sentori di muffe, di torbe, di turiboli inceneriti, di incensi e di mieli guasti, di cortecce 
vinose, di argille antiche plasmate in mattoni d’epoca romana incrostati d’un umido sgretolato dal salnitro e di polveri di secoli, sistemati lì a lisca di pesce da circa due millenni, impregnate di fumi acri, torbido-densi, e di pietre trasudate, di ròse passe, uno strato, alto 40 cm., di una decina di quintali di mele. Mele già in buona parte róse e decomposte. Che, marce, a breve, lo saranno tutte quante, in un trionfo di nero-ocra tumefatto e di morte barocchi: mele sugose-rugose, ancora (per poco) profumate ma che, tra non molto, ci inebrieranno dei loro sentori alcolico-alchemici e degli zuccheri 
pastosi della loro decomposizione. Come quei cadaveri di santi cattolici secenteschi, dai quali si raccoglievano in ampolle miracolose marcescenze ritenute provvide guaritrici. 
Mele, prima dell’autunno, variegate nei colori e nelle polpe, pastose o acidule, al palato diverse secondo la varietà. Ora, però, e d’ora in poi, intonacate –sepolcri vanamente imbiancati- di un marrone enfio e purulento, tesa, la loro buccia-epidermide guasta, al tuo tatto, fino a sventrarsi, divengono tocche, vizze, piene di fermenti liquefatti, ma anche rotonde come ventri di madri gravide. Perché nel loro marcire è insito anche un nuovo germogliare di vita. In sinestesie. Sinestesie che si rivelano, eccitandoli, ai tuoi cinque sensi resi torbidi, ammorbati, innervando e innescando tensioni emozionali e sensazioni che la trama febbrile e increspata delle sinapsi trasmette, in un palpebrare neuronale ossessivo e pulsante, all’elaborazione incessante del nostro cervello (“Al tuo laccio son preso, soffoco, / incupite ebrezze”, cf.M.Sgalambro,Nietzsche. Frammenti di una biografia per versi e voce, 2006, p.7; cf., sui cinque sensi, Luigi Stoisa, Percezioni mobili, testo di A.Accornero, Galleria Oddi Baglioni, Roma, 1994).
Riscopriamo, in questo strato di mele, anzi, vi de-(ypo)-criptiamo un codice espressivo che Luigi Stoisa ha già messo in atto, in precedenza, in un’installazione collocata in uno spazio della Reggia di Caserta, nel corso di una sua personale: là lo strato consisteva di grano giallo e solare –sonorità di ottoni lucidati nell’aria- e il titolo dell’opera era 
La semina (vetro e neon, carta su grano, misura ambiente, cf. il catalogo dalla terra, 15 dicembre 2005-15 gennaio 2006, Ferrero editore, 2005, p.199). 
Là il seme che muore per generare vita. Qui polpa putrida che, anch’essa, genererà nuova vita dal ventre della terra: de-composte/ri-componentesi “terre in strutturali complessioni” la cui essenza è Palus Putredinis, padule di/in in/estenuata putrefazione (E.Sanguineti, Laborintus,XXVII poesie, 1951-1954, 1, v.1).
Il frutto della mela (caravaggesco, barocco avvertimento della brevità e futilità dell’esistenza umana), inoltre, è il primo in assoluto che Stoisa abbia dipinto su catrame, essendo il catrame “una delle materie più frequenti nella sua attività”,poiché “il catrame indica –non a caso- la tensione alla scomparsa dell’opera, perché risucchia -
come la cripta inabissa in sé, nel suo ventre, l’installazione- i colori a olio” (cfr.M.Bertoni, in Luigi Stoisa, Del togliere, catalogo di una sua personale a Modena, spazi della galleria Il divano di George, 27 ottobre-22 dicembre 2007, pp.7-8). 
La mela –dicevamo- come primo frutto dipinto, per esservi risucchiato, nel catrame sul 
quale era stata distesa dal pennello. 
E la prima mela di Stoisa, peccaminosa tentazione agli albori della storia biblica della caducità e dell’opzione mortale da parte degli umani, è posta nel cavo del palmo di una mano-ventre di un suo Senza titolo –collezione Simonis- olio su catrame, per l’appunto (cm70x50), del 1982, che rappresenta un nudo femminile semi-sdraiato. 
Frutto profferto a noi, comunque figli adamici, da Eva? 
E il medesimo dono, dono di una mela da parte di una Eva-Pandora, si ritrova in un altro Senza titolo di maggiori dimensioni (cm 170x120) dello stesso anno –in collezione privata- esposto, nel 1984, negli spazi della Galleria Tucci Russo (cf. Luigi Stoisa da Antonio Tucci Russo, catalogo a cura di C.Levi, 1984, p.7). Dipinto che, in forma di citazione, ricompare,riprodotto,alla parete di un interno di un altro quadro di Stoisa, là dove le movenze rapide di una 
donna-sciame di pensieri sfiorano con i fianchi sensuali un tavolino. Donna, una cui mano protende a noi, ancora una volta, un’altra mela ancora (Senza titolo,olio su catrame, cm 240x180, 1985).
E se mele dipinte e mele vere sono accostate in Gusto, opera del 1994 (pittura a olio su catrame e tavola + nastro adesivo e mele, cm 120x80, cf. il già citato Percezioni mobili), è con una Natura morta -pittura a olio su catrame anche questa- risalente agli anni 1983-1984 (cm 180x100), che Luigi Stoisa ci ha rivelato/svelato la percezione di una secentesca e barocca caducità della vita e del trascorrere irrefrenabile del tempo. Il dipinto, infatti, fotografato appena concluso e, una seconda volta, trascorsi alcuni mesi, si è rapidamente mutato e trasformato, essendosi metamorfosato il colore, vivido e maturo dei frutti tardo-estivi e autunnali, in una poltiglia pressoché escrementizia, come “una pegola spessa, / che ‘nvischiava la ripa d’ogni parte” (cf. Dante, Inf., XXI, vv.17-18).
E ora, riconducendoci ancora a contemplare lo strato di mele che, marcendo, riprodurranno nuove possibilità di vita, vediamo finalmente, poggiata, basata sullo strato stesso, la levità dell’architettura, in pianta, dell’abbazia medesima, di quest’abbazia che gli umani-formiche laboriose –quelli che ci hanno preceduto- hanno innalzato creando il vuoto là dove c’era il pieno (la cripta-ventre), e riempiendo lo spazio che era vuoto in modo da costruire, in elevazioni di colonnati e strutture murarie e cupole-cieli, l’intera emergenza abbaziale. 
E per questo, Luigi Stoisa ha ripreso in mano carta e carboncino, strumenti connaturati all’ars. 
Le mele marcescenti sono allegoria di quegli umani là, di noi stessi e di quelli che verranno. 
Che, dunque, lo Stoisa anacoreta continui a distillarci, da queste colonne-foreste di simboli (quelli, per intenderci, dei capitelli in arenaria della cripta) “resine dorate / dai tronchi marcescenti del sapere” (E.Montale, Oggi è di moda,in Diario Postumo – 66 poesie e altre, Milano, 1996, p.22, vv.10-11). Del suo sapere.
versione Inglese
testo di Michele Bramante
testo di Maria Vittoria Berti
video di Federico Galetto
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