| La negatività, cioè l'integritàdella determinazione.
 G.F.Hegel
 
 La nostra epoca è caratterizzata dall'iper e dal post. L'importanza attribuita all'apparenza
 (Schein)  a scapito dell'esserci ( Dasein) è uno degli elementi centrali nella costruzione
 della nostra identità. La fotografia di Clegg e Guttmann e quella di Thomas Struth presentano
 con chiarezza emblematica esseri stereotipati che lasciano trasparire il vuoto e l'assenza di
 normalità, nascosti sotto una patina convenzionale. Il post è tutto ciò che guarda al futuro:
 solo apparentemente però; in realtà il post si è già consumato, in una frenesia creativa che si
 è inevitabilmente ribaltata in potere autodistruttivo. Allo stesso modo l'iper, smisuratamente
 dilatato, ha subito   un processo di cortocircuitazione.
 Il computer ha prodotto un rivolgimento comunicativo assoluto. Tuttavia, per dirla con l'artista
 e critico americano  Peter Halley, l'utilizzo di questa tecnologia ha indotto una sorta di
 perversione del linguaggio, una sintassi irrigimentata dalla comodità, capace di fornire sempre
 e in ogni modo strumenti che non tradiscono. Non è allarmante la totale assenza di sorpresa? Non
 è più destabilizzante dell'imprevisto? Siamo letteralmente immersi nel mondo della virtualità.
 E' opportuno allora che ci interroghiamo su quale sia il peso del virtuale, se ad esso inerisca
 una connotazione assiologia, oltre che tecnica. Esso vive di strategie e di elaborazioni
 prescrittive: dunque  pare lasciar da parte il dubbio, l'elemento che il filosofo Jose Ortega
 ritiene fondamentale e formativo per costruire autentiche prospettive esistenziali.
 Se trasferiamo questo concetto dalla realtà della vita all'arte, che ne è specchio, non possiamo
 pensare che quest'ultima  sia spiegata  ed esaurita dalla dimensione virtuale. Io credo sia ancora
 valida l'asserzione di T.W.Adorno, che considera l'enigma come  radice ultima dell'opera: entrambi
 hanno in comune  l'ambivalenza di determinazione e indeterminazione.
 Gli anni '90 sono segnati, nell'ambito delle arti visive,  da un ampio ventaglio di vicende,
 in gran parte identificabili con l'esplosione di elementi irrazionali e con la ridefinizione
 del corpo.
 L'affermarsi di un nuovo concetto dell'io, la perdita della memoria storica, la disgregazione
 delle ideologie, il recupero dell'immaginazione produttiva sono i dati  centrali della fine del
 millennio.  L'arte è incline alla decostruzione, cerca equilibri trasversali, nel segno di
 dicotomie: risulta  sempre problematica la messa a fuoco dell'identità, smarrita tra immagini
 di estraniamento e deterrenza.
 Se esaminiamo i diversi ambiti espressivi delle arti , possiamo fare alcune considerazioni.
 E' diventato sempre più importante il rapporto tra oggetto e spettatore, chiamato in causa
 nella "costruzione" dell'opera,  e, altresì, si è dilatata la relazione tra oggetto e spazio,
 caratterizzata da una energia dinamica. L'installazione, in questo senso, è l'espressione
 artistica che più di tutte esalta il sistema relazionale, proponendo con urgenza la questione
 della reificazione dell'oggetto. L'uso di materiali disparati implica in prima istanza il
 recupero dell'intenzionalità fabbricativa da parte dell'artista, coinvolto in un rapporto
 interlocutorio con l'opera. La fotografia è un medium versatile e duttile che ha saputo dilatare
 massimamente le sue qualità intrinseche, spostando sempre di più l'attenzione e, di conseguenza,
 la metodica,  da un aspetto meramente documentario ad una qualità analitica forte, unita
 all'attitudine di integrarsi con altri linguaggi. Il video,infine,  come sostiene  il critico
 Harald Szeemann, è la forma  artistica di approccio alla realtà del futuro: a partire da dettagli
 fissa le parcellizzazioni dell'esistente  in modo immediato, folgorante.
 La mostra Il peso del virtuale riunisce in un progetto artiste che sono attive in questi tre ambiti:
 Rosetta Berardi, Daniela Carati, Elena Cavallo, Eleonora Chiesa, Cho Eun Hee, Giuliana Cuneaz,
 Naia Del Castillo, Matilde Domestico, Carme Garolera, Anna Maria Gelmi,  Daniela Monaci,
 Chiara Pirito, Lieve Prins, Natasha Radovic, Luisa Raffaelli,  Sara Serighelli, Giovanna Torresin.
 Il fulcro ideale è un lavoro fotografico  dell'olandese Lieve Prins, che già nel 1980 anticipava
 "il peso della virtualità", ascrivendo all'immagine caratteristiche che non hanno più nulla di
 documentario, ma piuttosto suggeriscono la compresenza di linguaggi e mondi all'apparenza
 contrastanti. La volontà performativa innestata nel medium presenta una notevole modernità.
 La rassegna si propone di indagare in questo territorio molto esteso dal  punto di vista delle
 potenzialità  dei linguaggi espressivi, e molto ambiguo per le sfumature imprevedibili della
 costruzione processuale dell'opera, che solleva   continui, urgenti interrogativi.
 Valutare il  peso del virtuale significa allora in prima istanza ridefinire continuamente le
 istanze dell'arte, ridesignando, di conseguenza,   le configurazioni esistenziali, per
 riappropriarsene.
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