Testo di Fabiola Naldi
Patrizia Alemanno ricostruisce i luoghi di un privato domestico, sempre 
più spesso assediato dall¹inquietudine, attraverso la conversione seducente 
del digitale. 
Gli spazi inventati finalmente si animano nella versione bidimensionale 
della stampa e in quella prospetticamente più realistica del video. 
La nuova casa ha ora una sua tangibile ubicazione all¹interno di un 
contenitore espositivo duttile. Quadri che lei stessa definisce condigitali, 
nei quali le mura casalinghe sono modellate dalle potenzialità del computer 
che osa laddove il reale non lo permette. Dentro ai nuovi luoghi del possibile 
galleggiano tazzine da caffè, cuscini e comode poltrone che, come morbidi 
ipertesti, si infiltrano nell¹ordine rigoroso della manipolazione digitale. 
Gli oggetti, così come i lenti fermo immagine del video Absent, si aggrappano 
alle pareti della galleria. 
Nello spazio assente dell¹invenzione virtuale Alemanno presenta il suo luogo 
di protezione delimitato, in cui gli eventi realizzati vivono fra fondali 
dalle tinte tenui e fra oggetti ordinari divenuti straordinari. 
In lontananza una voce di donna canta di un uomo che mai più ritornerà. 
Un telefono squilla senza che nessuno possa rispondere mentre i dettagli 
di un vissuto privato, normalizzato dalla presenza di quegli animali domestici, 
si lasciano vivere privi di proprietario. 
E misteriosamente velati da giochi d¹ombre e da graziose tendine, le icone 
delimitano luoghi privi d¹uscita, immateriali e in fase di mutazione semantica, 
concepiti come prodotto della mente dell'artista e della memoria grafica del computer. 
Non sono veri, non si possono toccare, ma con forza pare urlino 
benvenuti nel deserto del reale.

Fuori luogo di Antonella Marino
L'avevamo lasciata, qualche anno fa, intenta ad indagare dal di dentro 
i confini di un corpo ormai in frantumi, ancorata ad una sensualità 
della materia pittorica e della forma plastica, come garanzia minima 
di un' identità già scissa ma da reinventare, anche in rapporto agli altri. 
"Stare in mezzo alle cose", accarezzarne gli intervalli e le relazioni spaziali, 
era per lei il tentativo di comprenderle, di offrire resistenza conoscitiva 
ad un clima di generale insicurezza. 
Dopo un periodo di solitaria esplorazione, Patrizia Alemanno ha ora 
"varcato la soglia". 
Si è liberata dell'ingombro di una fisicità in transito, ha osato oltrepassare 
l'opacità pesante del mondo materiale, per nuovi incontri ravvicinati con 
un una realtà fatta di soli bit. 
I suoi ultimi lavori, creati completamente ex novo col computer, portano 
alle estreme conseguenze i segnali di una mutazione culturale e antropologica 
da tempo in atto: si aprono ad una nuova condizione cognitiva che estende 
le funzioni del nostro corpo organico e, interfacciandolo con lo strumento 
tecnologico, cerca di rimettere in discussione le modalità di rapporto tra noi e 
il mondo esterno.
Un'ambigua familiarità pervade questi rarefatti spazi abitativi che nascono 
( e muoiono) dentro il monitor, per lasciare traccia su esili supporti cartacei. 
Sono simulacri di ambienti casalinghi sospesi e senza tempo 
(dunque quasi senza colore), curiose e precarie apparizioni di mobili e 
oggetti comuni, presenze intime, riconoscibili, eppure spiazzanti.
Un senso di inquietudine e di enigmatico mistero aleggia infatti 
su queste sedute sbilenche, su questi divani e letti sghembi, su questi ripiani 
instabili, dove slittano o fluttuano isolate tazzine da caffè o impossibili 
cuscinetti orlati. 
Come nelle "stanze" assurde di De Chirico, si dispiega così una 
"metafisica del quotidiano" interpretata con un pizzico di morbidezza e rotondità 
al femminile. 
Giochi d'ombre, velature di grigi interrotte a tratti da singoli dettagli 
colorati, amorose tendine che addolciscono finestre senza aperture, designano 
ambienti senza uscita, luoghi mutanti e immateriali, che esistono solo nella 
mente dell'artista e nella memoria del computer.
Altra faccia della medaglia, il "rovescio della visione", di un mondo troppo 
pieno ma ugualmente ridotto a "svuotamento" e "smarrimento" ( Baudrillard). 
Ma al tempo stesso specchio di un sé reificato che li rende quasi degli autoritratti 
( nonostante l'apparente mancanza di figure umane), riflessi di un 'interiorità" 
alienata nelle cose. 
Il disagio dunque c'è sempre. Ed è un disagio esistenziale, che incontra i grandi 
interrogativi dell'essere (e del non essere). Ma è anche un disagio sociale, la 
coscienza delle crisi di un mondo sempre più minaccioso e violento. 
Contro le grandi rimozioni, contro le vane fughe e soluzioni consolatorie con cui 
l' Occidente esorcizza e rimuove le sue paure, Patrizia Alemanno ha scelto la via 
difficile del confronto con una realtà "trasformata nel grado zero dell'assenza" 
(Paolo Ferrari), con un silenzio che si fa fragoroso di fronte agli stridori della 
comunicazione tradotta in spettacolo. 
Le sue immagini leggere sono allora spazi in potenza, "fuori luogo" in tutti sensi: 
dimensioni altre di una quotidianità protetta dallo schermo, che diviene rifugio 
ma anche frontiera da varcare, limite da cui infrangere le regole, desiderio di 
"esprimere dal Niente la possibilità, forse, di qualcos'altro" .

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